Lucio Vero, Venezia, Niccolini, 1700

 LUCIO VERO
 
    Drama per musica da recitarsi nel teatro Grimani di San Giovanni Grisostomo l’anno MDCC, consacrato a sua eccellenza don Antonio Filippo Spinola Colonna, duca del Sesto, gentiluomo della cammera di sua maestà cattolica, capitan generale dello stato di Milano, castellano di Castel Nuovo di Napoli, eccetera.
    In Venezia, 1700, per il Niccolini, con licenza de’ superiori e privilegio.
 
 Illustrissimo ed eccellentissimo signore, signore e padron colendissimo,
    egli è vizio di molti scrittori il corromper coll’adulazione la gloria de’ personaggi cui pretendono di abbellire; e di molti ancora egli è vizio il farne ritratti così fantastici che la copia dia confusione all’esempio e la rassomiglianza sia del capriccio, non dell’oggetto, Tanto è lontano che, ne’ brievi tratti ch’io devo fare della vostra immagine, eccellente signore, o ad esempio de’ primi voglia aggiugnerle falsi ornamenti o ad imitazione degli altri presuma di rappresentare una persona, cui nulla si rassomigli la vostra, quanto egli è vero che né in vostra eccellenza può figurarsi perfezion, che le manchi, né fuor di essa può concepirsi un’idea che più meriti di applauso e di ammirazione. In tal maniera, non vi sarà chi mi accusi di adulatore o di falso, quando dirò che voi, eccellente signore, contate nella vostra famiglia i secoli e gli eroi; e dirò il vero che voi persuadete la vostra gran nascita colle vostre azioni, cosicché, quando ancora non si sapesse di qual sangue sortite, la vostra maniera di vivere, così conforme alla vera nobiltà, vi farebbe quel grande che siete; e quando la vostra famiglia non avesse avuto che l’avvantaggio di avervi prodotto, la porressimo ancora nel numero delle più illustri famiglie. Ella è questa una verità di cui non mi lasciano mentire né i vostri generosi impieghi, sostenuti con tant’onore, né l’affetto e la stima che ha con giustizia per voi uno de’ più gran monarchi del mondo.
    Ma di tanti be’ doni che vi ha dati il cielo e vi ha meritati la vostra grand’anima, non v’è forse alcuno che più vi piaccia quanto quello della vostra virtù che, già eminente in sé stessa, ne cerca ancora la gloria nella protezion dell’altrui. Tutto ciò che di migliore sanno produrre gl’ingegni attende dalla vostra la sicurezza della pubblica approvazione; ed applaudito da voi, o non teme o non cura la maldicenza. Ora, essendo sì universale il patrocinio che avete delle bell’arti, anche gli autori delle sceniche favole non solo non disperano di ottenerlo da voi ma già lo vantano per vostra e per loro gloria. Si sa che talora, stanco dalle più gravi occupazioni, nelle quali il vostro grado v’impegna, cercate qualche sollievo nelle teatrali fatiche e concedete alcuna volta la vostra pietà alle finte ed alle lontane miserie, voi che non sapete negarla alle presenti e alle vere. Ma questi movimenti generosi e questa nobile compassione, che somiglianti spettacoli ispirano nelle bell’anime, non sono tutto il piacere che vi dà il teatro. Ne godete un altro più dilettevole e più glorioso, paragonando il vostro destino a quello degl’illustri miserabili che vi rappresenta la scena. Le loro disgrazie sono un effetto delle persecuzioni della fortuna ovvero una conseguenza della tirannide delle loro passioni; e voi vedete nel medesimo tempo che né la fortuna può nuocervi, perché la vostra virtù non n’è suggetta alla violenza, né le passioni hanno poter di turbarvi, perché la vostra ragione non sa risentirle, fuorché negli altri, o non n’è sensibile che a quella della virtù e della gloria.
    Io dunque, ripieno della cognizione di un tanto merito, mi son lasciato abbagliare dal desiderio di render illustre questo mio drama consacrandolo a vostra eccellenza, senz’aver tempo di riflettere che il dono null’altro aveva di augusto che il suo argomento e ch’io non poteva accostarmi a lei che per un eccesso di ardire. Egli è corso a vostra eccellenza questo mio debole parto, colla stessa velocità con cui certi ruscelli di poco nome si vanno a perder nel mare, i quali, portati da un cert’orgoglio, vi confondono la loro fiacchezza colla sua forza e, malgrado al difetto della loro origine, hanno allora, non men de’ fiumi più celebri, l’onore d’esser una picciola parte di quel gran corpo. Perché finalmente, s’io avessi voluto aspettare di offerirle qualche cosa degna di lei, la mia impotenza avrebbe tradito sempre il mio zelo e mi avrebbe esposto al pericolo di non poterle dar mai alcun minimo segno ch’io sono, col più profondo rispetto, di vostra eccellenza umilissimo, divotissimo ed ossequiosissimo servitore.
 
    Apostolo Zeno
 
 ARGOMENTO
 
    Marco Aurelio imperadore destinò, per suo collega e successore all’imperio, Lucio Antonino Vero, cavaliere romano, dandogli in matrimonio Lucilla sua figlia. Prima però che succedessero gli sponsali, mosse guerra ai Romani Vologeso, re de’ Parti e sposo di Berenice, regina d’Armenia. Gli sponsali di Lucio Vero furono perciò differiti fino all’esito di questa guerra; ed egli intanto destinato cesare andò alla testa dell’armata romana contro de’ Parti. Guerreggiò, vinse e, lasciato per morto in una battaglia campale il re nemico, s’impadronì d’una gran parte di quel regno e della medesima Berenice. Di questa ardentemente invaghitosi, seco la condusse in Efeso, scordatosi della fede data a Lucilla ed a Marco Aurelio. Alla fama di questi nuovi amori di Lucio Vero, si stimò offeso, e giustamente, l’imperadore; e chiamato a sé Claudio, suo consigliere, gli ordinò che, presa seco Lucilla, andasse in Efeso ed ivi intimasse a Lucio Vero, tostoché vi giugnesse, o che sposasse Lucilla o che rinonziasse l’imperio. L’esito fu a favor di Lucilla, nella maniera con cui segue lo sviluppo della favola, poiché questa, sollevato l’esercito, necessitò Lucio Vero a rimandar Berenice ed a conservarle la fede. Vologeso frattanto, risanatosi dalle piaghe che avea ricevute nella battaglia e che lo avevano fatto creder a tutti ed alla stessa Berenice per morto, intesa la di lei prigionia e gli amori di Lucio Vero, deliberò di portarsi in Efeso sconosciuto, siccome fece; ed ivi introdottosi nell’amicizia di Aniceto, confidente di Lucio Vero, con varii mezzi e spezialmente col canto, ebbe ingresso nella reggia e fra i ministri di augusto. Ciò che ne segua si vede nel proseguimento del drama, i cui fondamenti si sono tratti da Giulio Capitolino, da Sesto Rufo, da Eutropio, da Sesto Aurelio Vittore e da altri.
 
 PERSONE CHE PARLANO
 
 LUCIO VERO imperadore, sposo di Lucilla, amante di Berenice
 VOLOGESO re de’ Parti, sposo di Berenice
 BERENICE regina di Armenia, sposa di Vologeso
 LUCILLA figliuola di Marco Aurelio imperadore, sposa di Lucio Vero
 ANICETO confidente di Lucio Vero, amante secreto di Lucilla
 CLAUDIO consigliere di Marco Aurelio, confidente di Lucilla
 NISO servo di Lucio Vero
 
    La scena è in Efeso.
 
 SCENE
 
    Nell’atto primo: passeggio delizioso con apparato di cena; collinetta con veduta di mare e con città dirimpetto; parte rimota corrispondente alle prigioni; anfiteatro.
    Nell’atto secondo: gabinetto di verdura; atrio; stanze; prigioni.
    Nell’atto terzo: campo de’ romani attendato; stanza a lutto con trono che poi si cangia in salone imperiale luminoso; porto con navi.
 
 BALLI
 
    Di cavalieri custodi de’ gladiatori, di soldati romani.